Analisi del viaggio di Benedetto XVI in USA
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Analisi del viaggio di Benedetto XVI in USA
PIETRO E IL MONDO
«Così Benedetto XVI ha toccato il cuore del popolo americano»
DA ROMA GIANNI SANTAMARIA
U n Papa che ha infranto spesso il protocollo ufficiale. Che ha dialogato in maniera sorridente e vivace con i giovani di New York. Che ha avuto parole di conforto per i malati. Che ha ricevuto una standing ovation all’Onu. Che si è piegato sugli abissi del male, a Ground Zero e chiedendo perdono per i preti pedofili. Tante le immagini che hanno caratterizzato la visita a stelle e strisce del Pontefice, tanti gli spunti che hanno conquistato non solo il popolo ma anche i media americani – di alto profilo o popolari – solitamente freddi verso questo tipo di eventi e che invece hanno seguito il viaggio tutti i giorni. Lo notano i vaticanisti, giornalisti incaricati di seguire ogni passo del vescovo di Roma.
Per Raffaele Luise, del Gr2 Rai, il feeling di Ratzinger con gli Usa «è stato sorprendente, perché era atteso un po’ al varco, sia sul versante ecclesiale, sia su quello politico. Invece è stato un trionfo. Il Papa ha veramente sedotto e convinto gli americani, ne ha toccato il cuore in profondità ». Per Luise l’immagine del viaggio che resterà nella memoria si è svolta là dove sorgevano le Twin Towers. Da cronista radiofonico ne dà un resoconto quasi fotografico: «Solo, con questo soprabito bianco. Semplice ed essenziale in tutto: i gesti e la tenera preghiera di pace, nella quale è come sprofondato e che veniva dal centro del cratere del male del Nuovo millennio. È stato un meraviglioso
urbi et orbi americano». Poi gli incontri e il dialogo interreligioso, quello con gli ebrei e con l’arcipelago evangelico. «Tutti, pensiamo ai giovani, hanno percepito il calore dell’uomo di preghiera che non viene a fare lezioni, ma porta un esigente messaggio a un mondo che se ne va un po’ per conto suo», conclude.
Molto sentiti, in particolare, i riferimenti al problema degli abusi sessuali. Per Marco Politi de la Repubblica il successo della visita sul suolo statunitense è stato do- vuto in primo luogo «alla maniera molto franca e diretta con la quale ha trattato questa questione, che in America è sentita molto più di quanto noi possiamo immaginare ». Così come la decisione fuori programma di incontrare le vittime. Tutto ciò ha fatto vedere «un Papa molto essenziale nel suo modo di comunicare, molto sincero e, quindi, ha aperto anche le orecchie sui suoi moniti a non trascurare le tentazioni di male presenti nella società occidentale: individualismo, egoismo, pragmatismo, materialismo e relativismo ». In ombra nelle cronache, invece, è rimasta per Politi la rinuncia di Papa Benedetto a «porre interrogativi sulle responsabilità internazionali che l’America ha come superpotenza. E questo era un elemento molto importante nello scenario geopolitico».
Concorda con quest’ultima osservazione un altro veterano del mestiere, Luigi Accattoli del Corriere della sera. Così come sull’atteggiamento riguardo agli scandali di pedofilia, che ha creato «un clima di veracità: il Papa non tace». Anzi, ha insistito più volte sul tema. Posta questa «premessa positiva, il resto è andato facile», ritiene l’osservatore. Anche il «suggello di tutta la visita, il gesto di Ground Zero – pur grande, tanto che l’ho chiamato il De profundis della nostra epoca – era più ovvio», meno 'caldo' a sette anni dalla tragedia. Ma andando tra la gente qual era il clima, come si è sviluppato il rapporto con l’illustre ospite? «In modo caldo e familiare – replica il vaticanista –. I cattolici americani si sentivano nella prova e hanno trovato un padre, si sono sentiti consolati. Lo si percepiva nel fare domande, alle quali rispondevano: ha avuto coraggio, ha parlato, gliene siamo riconoscenti».
Salvatore Izzo, vaticanista dell’Agi (Agenzia giornalistica Italia) va indietro nel tempo e rintraccia i presupposti della breccia fatta dal Papa nei cuori americani nella «grande simpatia che Ratzinger già da cardinale aveva per questo Paese e per il suo modello di laicità, nel quale sono continui i riferimenti ai valori religiosi, tradotti poi con assoluta autonomia da parte dei cittadini». Molti sono stati gli elementi di grande emotività e coinvolgimento. Soprattutto a New York, città calorosa che Izzo non esita a paragonare a Napoli: «Nessuno è rimasto indifferente, bastava andare in un ristorante o in un bar e si capiva che c’era un coinvolgimento che nella mia esperienza non ho visto di frequente ». Un ruolo essenziale lo hanno svolto i media. «Hanno cambiato atteggiamento e questo ha consentito agli americani di conoscere il Papa e alla scintilla di reciproca simpatia, per la quale c’erano già tutte le condizioni, di scoccare ». Izzo lo esemplifica con il titolo inusuale dato all’edizione di lunedì dal New York Post,
giornale venduto a tutti gli angoli delle strade: «Alleluia».
Pure il vaticanista del Tg1 Fabio Zavattaro
punta sul ruolo dei media. «Mi ha colpito la loro risposta, non solo delle televisioni, della Cnn, ma anche dei giornali, in modo particolare quotidiani, solitamente 'freddi' verso il Papa, come il New York Times. Dopo un inizio un po’ tiepido e ufficiale, si sono aperti molto, forse a partire da quell’incontro con i bambini disabili nella cappella del seminario di New York. Benedetto XVI si è fermato a lungo con loro e le tv hanno indugiato con tenerezza, direi, su questa immagine». Per il cronista televisivo il successo del viaggio del Papa sta proprio nelle tante immagini che rimarranno nella memoria «e nella capacità di promuovere una sorta di processo di guarigione dal dolore e dalla perdita. Il Papa ha saputo raggiungere il cuore dell’America proprio grazie a questi gesti semplici, ma dal grande impatto emotivo. Noi giornalisti siamo abituati a cogliere l’evento nella sua spettacolarità e nella sua eccezionalità. Il Papa ha saputo indicare agli americani un altro modo di cogliere i fatti: con il cuore».
Nella rilettura offerta da Luise (Gr2 Rai), Politi (Repubblica), Izzo (Agi), Accattoli (Corriere) e Zavattaro ( Tg1) le ragioni di un «feeling» inatteso
«Così Benedetto XVI ha toccato il cuore del popolo americano»
DA ROMA GIANNI SANTAMARIA
U n Papa che ha infranto spesso il protocollo ufficiale. Che ha dialogato in maniera sorridente e vivace con i giovani di New York. Che ha avuto parole di conforto per i malati. Che ha ricevuto una standing ovation all’Onu. Che si è piegato sugli abissi del male, a Ground Zero e chiedendo perdono per i preti pedofili. Tante le immagini che hanno caratterizzato la visita a stelle e strisce del Pontefice, tanti gli spunti che hanno conquistato non solo il popolo ma anche i media americani – di alto profilo o popolari – solitamente freddi verso questo tipo di eventi e che invece hanno seguito il viaggio tutti i giorni. Lo notano i vaticanisti, giornalisti incaricati di seguire ogni passo del vescovo di Roma.
Per Raffaele Luise, del Gr2 Rai, il feeling di Ratzinger con gli Usa «è stato sorprendente, perché era atteso un po’ al varco, sia sul versante ecclesiale, sia su quello politico. Invece è stato un trionfo. Il Papa ha veramente sedotto e convinto gli americani, ne ha toccato il cuore in profondità ». Per Luise l’immagine del viaggio che resterà nella memoria si è svolta là dove sorgevano le Twin Towers. Da cronista radiofonico ne dà un resoconto quasi fotografico: «Solo, con questo soprabito bianco. Semplice ed essenziale in tutto: i gesti e la tenera preghiera di pace, nella quale è come sprofondato e che veniva dal centro del cratere del male del Nuovo millennio. È stato un meraviglioso
urbi et orbi americano». Poi gli incontri e il dialogo interreligioso, quello con gli ebrei e con l’arcipelago evangelico. «Tutti, pensiamo ai giovani, hanno percepito il calore dell’uomo di preghiera che non viene a fare lezioni, ma porta un esigente messaggio a un mondo che se ne va un po’ per conto suo», conclude.
Molto sentiti, in particolare, i riferimenti al problema degli abusi sessuali. Per Marco Politi de la Repubblica il successo della visita sul suolo statunitense è stato do- vuto in primo luogo «alla maniera molto franca e diretta con la quale ha trattato questa questione, che in America è sentita molto più di quanto noi possiamo immaginare ». Così come la decisione fuori programma di incontrare le vittime. Tutto ciò ha fatto vedere «un Papa molto essenziale nel suo modo di comunicare, molto sincero e, quindi, ha aperto anche le orecchie sui suoi moniti a non trascurare le tentazioni di male presenti nella società occidentale: individualismo, egoismo, pragmatismo, materialismo e relativismo ». In ombra nelle cronache, invece, è rimasta per Politi la rinuncia di Papa Benedetto a «porre interrogativi sulle responsabilità internazionali che l’America ha come superpotenza. E questo era un elemento molto importante nello scenario geopolitico».
Concorda con quest’ultima osservazione un altro veterano del mestiere, Luigi Accattoli del Corriere della sera. Così come sull’atteggiamento riguardo agli scandali di pedofilia, che ha creato «un clima di veracità: il Papa non tace». Anzi, ha insistito più volte sul tema. Posta questa «premessa positiva, il resto è andato facile», ritiene l’osservatore. Anche il «suggello di tutta la visita, il gesto di Ground Zero – pur grande, tanto che l’ho chiamato il De profundis della nostra epoca – era più ovvio», meno 'caldo' a sette anni dalla tragedia. Ma andando tra la gente qual era il clima, come si è sviluppato il rapporto con l’illustre ospite? «In modo caldo e familiare – replica il vaticanista –. I cattolici americani si sentivano nella prova e hanno trovato un padre, si sono sentiti consolati. Lo si percepiva nel fare domande, alle quali rispondevano: ha avuto coraggio, ha parlato, gliene siamo riconoscenti».
Salvatore Izzo, vaticanista dell’Agi (Agenzia giornalistica Italia) va indietro nel tempo e rintraccia i presupposti della breccia fatta dal Papa nei cuori americani nella «grande simpatia che Ratzinger già da cardinale aveva per questo Paese e per il suo modello di laicità, nel quale sono continui i riferimenti ai valori religiosi, tradotti poi con assoluta autonomia da parte dei cittadini». Molti sono stati gli elementi di grande emotività e coinvolgimento. Soprattutto a New York, città calorosa che Izzo non esita a paragonare a Napoli: «Nessuno è rimasto indifferente, bastava andare in un ristorante o in un bar e si capiva che c’era un coinvolgimento che nella mia esperienza non ho visto di frequente ». Un ruolo essenziale lo hanno svolto i media. «Hanno cambiato atteggiamento e questo ha consentito agli americani di conoscere il Papa e alla scintilla di reciproca simpatia, per la quale c’erano già tutte le condizioni, di scoccare ». Izzo lo esemplifica con il titolo inusuale dato all’edizione di lunedì dal New York Post,
giornale venduto a tutti gli angoli delle strade: «Alleluia».
Pure il vaticanista del Tg1 Fabio Zavattaro
punta sul ruolo dei media. «Mi ha colpito la loro risposta, non solo delle televisioni, della Cnn, ma anche dei giornali, in modo particolare quotidiani, solitamente 'freddi' verso il Papa, come il New York Times. Dopo un inizio un po’ tiepido e ufficiale, si sono aperti molto, forse a partire da quell’incontro con i bambini disabili nella cappella del seminario di New York. Benedetto XVI si è fermato a lungo con loro e le tv hanno indugiato con tenerezza, direi, su questa immagine». Per il cronista televisivo il successo del viaggio del Papa sta proprio nelle tante immagini che rimarranno nella memoria «e nella capacità di promuovere una sorta di processo di guarigione dal dolore e dalla perdita. Il Papa ha saputo raggiungere il cuore dell’America proprio grazie a questi gesti semplici, ma dal grande impatto emotivo. Noi giornalisti siamo abituati a cogliere l’evento nella sua spettacolarità e nella sua eccezionalità. Il Papa ha saputo indicare agli americani un altro modo di cogliere i fatti: con il cuore».
Nella rilettura offerta da Luise (Gr2 Rai), Politi (Repubblica), Izzo (Agi), Accattoli (Corriere) e Zavattaro ( Tg1) le ragioni di un «feeling» inatteso
da Avvenire
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