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Analisi del viaggio di Benedetto XVI in USA

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Messaggio  Fabio Gio Apr 24, 2008 10:55 am

PIETRO E IL MONDO
«Così Benedetto XVI ha toccato il cuore del popolo americano»
DA ROMA GIANNI SANTAMARIA

U n Papa che ha infranto spesso il protocollo ufficiale. Che ha dialo­gato in maniera sorridente e viva­ce con i giovani di New York. Che ha avu­to parole di conforto per i malati. Che ha ricevuto una standing ovation all’Onu. Che si è piegato sugli abissi del male, a Ground Zero e chiedendo perdono per i preti pe­dofili. Tante le immagini che hanno ca­ratterizzato la visita a stelle e strisce del Pontefice, tanti gli spunti che hanno con­quistato non solo il popolo ma anche i me­dia americani – di alto profilo o popolari – solitamente freddi verso questo tipo di eventi e che invece hanno seguito il viag­gio tutti i giorni. Lo notano i vaticanisti, giornalisti incaricati di seguire ogni passo del vescovo di Roma.
Per Raffaele Luise, del Gr2 Rai, il feeling di Ratzinger con gli Usa «è stato sor­prendente, perché era at­teso un po’ al varco, sia sul versante ecclesiale, sia su quello politico. Invece è stato un trionfo. Il Papa ha veramente sedotto e con­vinto gli americani, ne ha toccato il cuore in profon­dità ». Per Luise l’immagine del viaggio che resterà nel­la memoria si è svolta là dove sorgevano le Twin Towers. Da cronista radiofonico ne dà un resoconto quasi fotografico: «Solo, con questo soprabito bianco. Semplice ed es­senziale in tutto: i gesti e la tenera pre­ghiera di pace, nella quale è come sprofon­dato e che veniva dal centro del cratere del male del Nuovo millennio. È stato un me­raviglioso
urbi et orbi americano». Poi gli incontri e il dialogo interreligioso, quello con gli ebrei e con l’arcipelago evangelico. «Tutti, pensiamo ai giovani, hanno perce­pito il calore dell’uomo di preghiera che non viene a fare lezioni, ma porta un esi­gente messaggio a un mondo che se ne va un po’ per conto suo», conclude.
Molto sentiti, in particolare, i riferimenti al problema degli abusi sessuali. Per Mar­co Politi de la Repubblica il successo del­la visita sul suolo statunitense è stato do- vuto in primo luogo «alla maniera molto franca e diretta con la quale ha trattato questa questione, che in America è senti­ta molto più di quanto noi possiamo im­maginare ». Così come la decisione fuori programma di incontrare le vittime. Tut­to ciò ha fatto vedere «un Papa molto es­senziale nel suo modo di comunicare, molto sincero e, quindi, ha aperto anche le orecchie sui suoi moniti a non trascu­rare le tentazioni di male presenti nella so­cietà occidentale: individualismo, egoi­smo, pragmatismo, materialismo e relati­vismo ». In ombra nelle cronache, invece, è rimasta per Politi la rinuncia di Papa Be­nedetto a «porre interrogativi sulle re­sponsabilità internazionali che l’America ha come superpotenza. E questo era un e­lemento molto importante nello scenario geopolitico».
Concorda con quest’ulti­ma osservazione un altro veterano del mestiere, Lui­gi Accattoli del Corriere della sera. Così come sul­l’atteggiamento riguardo agli scandali di pedofilia, che ha creato «un clima di veracità: il Papa non tace». Anzi, ha insistito più volte sul tema. Posta questa «premessa positiva, il resto è andato facile», ritiene l’osservatore. Anche il «suggello di tutta la visita, il gesto di Ground Zero – pur grande, tan­to che l’ho chiamato il De profundis della nostra epoca – era più ovvio», meno 'cal­do' a sette anni dalla tragedia. Ma andan­do tra la gente qual era il clima, come si è sviluppato il rapporto con l’illustre ospite? «In modo caldo e familiare – replica il va­ticanista –. I cattolici americani si sentiva­no nella prova e hanno trovato un padre, si sono sentiti consolati. Lo si percepiva nel fare domande, alle quali rispondeva­no: ha avuto coraggio, ha parlato, gliene siamo riconoscenti».
Salvatore Izzo, vaticanista dell’Agi (Agen­zia giornalistica Italia) va indietro nel tem­po e rintraccia i presupposti della breccia fatta dal Papa nei cuori americani nella «grande simpatia che Ratzinger già da car­dinale aveva per questo Paese e per il suo modello di laicità, nel quale so­no continui i riferimenti ai va­lori religiosi, tradotti poi con assoluta autonomia da parte dei cittadini». Molti sono stati gli elementi di grande emoti­vità e coinvolgimento. Soprat­tutto a New York, città caloro­sa che Izzo non esita a parago­nare a Napoli: «Nessuno è ri­masto indifferente, bastava an­dare in un ristorante o in un bar e si capiva che c’era un coinvolgimento che nella mia esperienza non ho visto di fre­quente ». Un ruolo essenziale lo hanno svolto i media. «Han­no cambiato atteggiamento e questo ha consentito agli a­mericani di conoscere il Papa e alla scintilla di reciproca sim­patia, per la quale c’erano già tutte le condizioni, di scocca­re ». Izzo lo esemplifica con il titolo inusuale dato all’edizio­ne di lunedì dal New York Post,
giornale venduto a tutti gli angoli delle strade: «Alleluia».
Pure il vaticanista del Tg1 Fabio Zavatta­ro
punta sul ruolo dei media. «Mi ha col­pito la loro risposta, non solo delle televi­sioni, della Cnn, ma anche dei giornali, in modo particolare quotidiani, solitamente 'freddi' verso il Papa, come il New York Times. Dopo un inizio un po’ tiepido e uf­ficiale, si sono aperti molto, forse a parti­re da quell’incontro con i bambini disabi­li nella cappella del seminario di New York. Benedetto XVI si è fermato a lungo con lo­ro e le tv hanno indugiato con tenerezza, direi, su questa immagine». Per il cronista televisivo il successo del viaggio del Papa sta proprio nelle tante immagini che ri­marranno nella memoria «e nella capa­cità di promuovere una sorta di processo di guarigione dal dolore e dalla perdita. Il Papa ha saputo raggiungere il cuore del­l’America proprio grazie a questi gesti semplici, ma dal grande impatto emotivo. Noi giornalisti siamo abituati a cogliere l’evento nella sua spettacolarità e nella sua eccezionalità. Il Papa ha saputo indicare a­gli americani un altro modo di cogliere i fatti: con il cuore».
Nella rilettura offerta da Luise (Gr2 Rai), Politi (Repubblica), Izzo (Agi), Accattoli (Corriere) e Zavattaro ( Tg1) le ragioni di un «feeling» inatteso

da Avvenire
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