Parrocchia San Francesco d'Assisi
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Messaggio  Fabrizio Mar Dic 16, 2008 1:22 am

Frate Leone 1/5

Tra le più belle pagine del francescanesimo primitivo, non c’è n’è forse nessuna che superi in celebrità quella del “Dialogo della vera e perfetta letizia” (cf. I Fioretti, cap. VIII).
Si tratta di un dialogo avvenuto tra S. Francesco e frate Leone.
Probabilmente si deve anche a questo, che Leone sia il più universalmente conosciuto tra i compagni del Santo assisiate.
Negli archivi sono piuttosto esigui i dati biografici che lo riguardano: probabilmente era oriundo del contado di Viterbo; fece il suo ingresso nell’"Ordine" dopo il 1212 (molti sostengono, invece, nel 1210); morì in Assisi nel 1271.
Gemelli afferma che fu il più semplice e puro tra i compagni di S. Francesco; Cuthbert sostiene che Leone ebbe l’anima di un bambino; Fortini lo ricorda come «il più umile e il più mite dei discepoli del Santo».
Per questa sua mitezza, Francesco lo battezzò come “Pecorella di Dio”, e, nella definizione del vero frate minore lo propose come modello di «semplicità e purità».
Frate Leone fu un colto sacerdote, oltre che un abile calligrafo e scrittore.
Francesco lo scelse come suo segretario e confessore, e per questo duplice titolo si può affermare che egli conobbe il Poverello come nessun altro, «di fuori e di dentro»: «Francesco lo teneva al corrente di quasi tutti i suoi segreti”; e nessuno come frate Leone sperimentò l’allegrezza e la meraviglia di conoscere, nel suo insieme e nei particolari, la santità del “Giullare di Dio”».
Secondo Sabatier, questa confidenza tra i due avrebbe avuto origine dalla loro amicizia giovanile, prima della conversione di Francesco. Ci sarebbe allora da riferire a Leone (con non poche riserve) il seguente paragrafo del Celano: «Vi era ad Assisi un giovane, che egli amava più degli altri. Poiché era suo coetaneo e l’amicizia pienamente condivisa lo invitava a confidargli i suoi segreti, Francesco lo portava con sé in posti adatti al raccoglimento dello spirito, rivelandogli di aver scoperto un tesoro grande e prezioso. L’amico, esultante e incuriosito, accettava sempre volentieri l’invito di accompagnarlo» (I Cel., n. 6).
Non c’è dubbio, comunque, che il Santo «molto l’amava e quasi ogni suo segreto gli rivelava»; per questo Luca Wadding lo considera come «il più amato da Francesco».
Quando, all’inizio dell’"Ordine", Francesco mandò Rufino con le sole brache a predicare in una chiesa di Assisi, e salì poi egli stesso alla città, conciato in quella foggia, condusse con sé frate Leone, facendogli portare i vestiti di entrambi. E i due salirono alla città, entrarono in quella chiesa, Rufino e Francesco predicarono seminudi, Leone diede quindi loro gli abiti perché si vestissero (cf. I Fioretti, cap. XXX).
E sempre con Leone, nel 1213, Francesco si recò nel castello di Montefeltro, a predicare nel bel mezzo di «un grande convito e corteo per la cavalleria nuova d’uno di quelli conti di Montefeltro» (cf. Della prima considerazione delle sacre sante Istimate).
La fiducia che il Poverello riponeva in Leone era smisurata, conseguentemente non sorprende affatto vederli insieme nel loro peregrinare apostolico per il mondo, a volte, insieme, in momenti deliziosi.
Come Francesco, nel giungere alla Verna, ripeté il poetico prodigio di Cannara, conversando con le «sirocchie e fratelli uccelli»; o quando Francesco e un usignolo gareggiarono in un lungo certame canoro, per vedere chi dei due lodasse più e meglio il Creatore.
Altre volte Francesco lo sceglieva come suo uomo di fiducia, per missioni delicate o importanti. Un giorno, ad esempio, lo incaricò - insieme a frate Masseo - di trasmettere al turbato frate Riccerio alcune parole di tenera amicizia, con le quali egli riacquistò la pace.
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Messaggio  Fabrizio Mer Dic 17, 2008 5:00 pm

Frate Leone 2/5

Più notevole - di grande importanza per il buon andamento dell’"Ordine" - fu quest’altra circostanza: nel tentativo di porre finalmente fine a dissapori e dissensi, nel 1223 prese con sé frate Leone e frate Bonizio da Bologna, si ritirò con loro nell’eremo di Fontecolombo, e compose, con il loro aiuto, la "Regola" definitiva, o "Regola bollata", approvata poi dal papa.
E quando Cristo e la Vergine gli apparvero alla Porziuncola e gli concessero lo straordinario privilegio del “Perdono di Assisi”, prese subito con sé frate Leone e si recò a Perugia, dove era la corte pontificia, perché il papa gli confermasse quel privilegio.
Uno dei testimoni più qualificati di questa indulgenza è precisamente frate Francesco da Fabrione, che citò come prova principale il nostro frate Leone, da lui conosciuto quando entrò nell'"Ordine": «gli disse frate Leone che aveva udito lui stesso da Francesco - nel suo dialogo mistico con Cristo e la Vergine - come aveva ottenuto questa indulgenza».
Alla fine, quando il corpo di Francesco era già ridotto da vivo a una spoglia umana, affidò la cura della sua persona a quattro dei suoi più intimi compagni, che egli amava di singolare amore, e uno di essi fu frate Leone.
La Vita dice che si lasciava curare da lui come «dal suo più cordiale amico», permettendogli di toccare le sue sacre stimmate, quando gli cambiava le bende macchiate di sangue: era questo per frate Leone un rito gioioso e doloroso insieme - osserva Gemelli -, che lo faceva sprofondare d’umiltà davanti al suo penitente.
Francesco, pur badando gelosamente che nessuno s’accorgesse del privilegio delle sue stimmate, arrivò a compiere questo gesto di estrema delicatezza: una volta pose e trattenne amorevolmente la propria mano piagata sul cuore di frate Leone; questi ne provò tale delizia spirituale che, al colmo dell’ammirazione e dello stupore, proruppe in singhiozzi.
E nella sua agonia, pur essa meravigliosa, fu a frate Leone e a frate Angelo Tancredi che Francesco chiese di intonare il "Cantico delle Creature", nel quale inserì e inaugurò l’ultima strofa, quella composta sul momento per “Sorella morte”!.
Se di così pura qualità fu l’amicizia del Poverello serafico con frate Leone, non minore fu la stima di questi per il suo padre spirituale: stima e affetto avvolti ed esaltati nell’ammirazione per la sua eccelsa santità. Il nostro frate “Pecorella” aveva, infatti, una tale stima per il suo maestro che, a quanto affermava in confidenza, non avrebbe in alcun modo potuto vivere senza di lui. E quando alcuni consideravano le virtù dei Santi, ancor vivo Francesco, egli diceva: «Carissimi, tutti i santi sono grandi, ma non è dei minori il nostro santo padre Francesco».
Di quest’amore di predilezione che il Giullare di Dio gli professava, frate Leone non fu geloso - prova della sua maturità psicologica e spirituale -, pur arrivando, in realtà, a qualche piccola bizzarrìa.
Ebbe le sue prove ulteriori, e Francesco le indovinava, quasi vedesse riflessa la sua anima nel cristallo della sua schiettezza; il suo silenzio sofferente era un’invocazione perché Francesco lo aiutasse. E questi una volta, per incoraggiarlo, gli scrisse una lettera piena di tenerezza: è la famosissima "Lettera a frate Leone" , conservata, ancor oggi, come preziosissima reliquia, nel duomo di Spoleto.
Questo biglietto fu, per frate Leone, l’autenticazione della libertà evangelica, la letizia della sua libertà francescana.
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Messaggio  Fabrizio Gio Dic 18, 2008 4:44 pm

Frate Leone 3/5


E’ d’obbligo, al fine di conoscere l’identità di Leone, citare alcuni fra i più salienti episodi della sua vita, ad iniziare da quello che potrebbe essere intitolato: “Mattutino senza breviario”.
La povertà del convento in cui abitavano Francesco e Leone era tanta che non c’era neanche un libro con il quale recitare l’Ufficio.
Una notte, nell’alzarsi per pregare all’ora di mattutino, Francesco disse a frate “Pecorella”: «"Carissimo, non abbiamo breviario per recitare mattutino. Ma per occupare lo stesso questo tempo nelle lodi del Signore, m’è venuto in mente questo: io ti indicherò quello che tocca dire a te, e tu guardati bene dal cambiare una sola sillaba. Io dirò: Oh frate Francesco, tu hai commesso tanti peccati nella tua vita mondana, che sei degno dell’inferno! E tu risponderai: Proprio così: hai meritato di precipitare nel più profondo dell’inferno”».
Ma, nonostante le assicurazioni e le proteste d’obbedienza, frate Leone non riusciva a dire altro che: «O frate Francesco, Iddio ti farà tale, che tra i benedetti tu sarai singolarmente benedetto», o frasi simili.
Francesco, «dolcemente adirato e pazientemente turbato», lo rimproverava ripetutamente della disobbedienza, ma frate Leone, infine, rispose: «Si, padre! Dio si compiacerà di te. Più ancora, ti concederà una grande grazia, e ti esalterà e ti glorificherà per l’eternità, perché chi si umilia sarà esaltato. E non posso dire diversamente, poiché è Dio che parla per bocca mia».
Da sottolineare che in questa contesa, animata dall’amara compunzione dell’uno e dalla esaltata e divina replica dell’altro, i due rimasero a vegliare fino all’alba (cf. I Fioretti, cap. IX).
Annota Gemelli che quella notte, la semplicità colombina di frate Leone l’ebbe vinta sull’umiltà del Santo. Per il nostro frate Leone fu una duplice vittoria: quella di superare il suo maestro, e quella di diventare il salmista dell’immensa gloria che gli preparava il Signore. Gioire come un bimbo, esultare come un profeta che annuncia la più grande fortuna.
Si può continuare a cantare la letizia di frate Leone col candore de I Fioretti e per mezzo di visioni. Non si dimentichi che, da buon discepolo del Poverello, Leone fu un autentico contemplativo, come sottolineano I Fioretti, cap. XXXVI.
Una delle più belle pagine della vita di frate Leone, e, come già accennato, di tutta la vicenda francescana delle origini, è senza dubbio quella del “Dialogo della vera e perfetta letizia” riportata ne I Fioretti, cap. VIII.
Gemelli ritiene il suddetto un dialogo stupendo, nel quale la teoria paolina della Croce viene celebrata con elevatezza poetica; Fortini dichiara che «era l’ammaestramento della Regola, secondo il Vangelo: amare tutti, anche coloro che ci odiano, ci avviliscono, ci disprezzano».
Frate Leone sarà accanto a Francesco anche nell’ora della più alta vetta mistica del Poverello: il suo diventare come Cristo sul monte della Verna.
Nell’estate del 1224, infatti, Francesco realizzò finalmente il desiderio di ritirarsi su quella elevata, rupestre e selvosa solitudine, che gli aveva regalato il conte Orlando, il quale gli aveva là preparato un eremo, col suo oratorio e le sue piccole celle, tutto semplice e povero, come piaceva a Francesco, e s’era impegnato a fargli avere il cibo necessario.
Il Santo assisiate prese con sé tre dei suoi più amati compagni; tra essi, quello di maggior fiducia: Leone, suo segretario e confessore.
Pochi giorni dopo esservi giunto, decise di celebrare una quaresima, iniziandola il 15 agosto, in onore dell’Assunta, per terminarla nella festa di S. Michele, un’altra delle sue grandi devozioni.
Decise pure di trascorrere quel tempo in assoluta solitudine; solo frate Leone avrebbe potuto avvicinarsi, per portargli un po’ di cibo e per recitare con lui “mattutino”.
Conseguentemente, tutto il prodigio di S. Francesco alla Verna fu anche una relazione eccezionale tra il Poverello e frate Leone. Non solo per quel privilegio di essere l’unico a provvedere a lui e ad essere suo compagno di preghiera.
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Messaggio  Fabrizio Ven Dic 19, 2008 5:06 pm

Frate Leone 4/5

Frate “Pecorella di Dio”, nella sua fervida semplicità, non si accontentava di questo. Intuiva che il suo “Santo amico” riceveva comunicazioni e consolazioni meravigliose dal Signore; così lo spiava come poteva, avvicinandosi di nascosto. Lo vedeva e lo udiva parlare con Dio, lo contemplava nelle sue estasi, come avvolto in un alone celestiale.
A volte il Poverello, messo in guardia dallo scricchiolìo dei suoi passi sulle foglie secche, lo sorprendeva in quel curiosare proibito, ed esclamava in tono imperativo: «Chiunque tu sia, ti ordino, per il potere di nostro Signore Gesù Cristo, di fermarti e di non avanzare di un sol passo». E frate Leone, tremando, rispondeva: «Sono io, padre».
E il Poverello, con un rimprovero serio e affettuosamente materno, replicava: «Ritorna però alla tua cella, frate “Pecorella”, con la mia benedizione, e stai bene attento a non tornare a sorvegliarmi».
Ma il confessore di Francesco, su questo punto, era impenitente.
Grazie a lui conosciamo alcune rarità mistiche che precedettero o seguirono il miracolo delle stimmate.
Il prodigio come tale, però, avvenuto nel giorno dell’Esaltazione della Croce, rimase un segreto tra Cristo, Serafino alato e gloriosamente crocifisso, e questo serafino di Assisi, che Egli volle crocifisso con sé, concedendogli quello che tanto aveva bramato, e chiesto.
Da quel sublime momento, anche per il nostro frate Leone, finché visse Francesco, la vita si trasformò in una letizia post-pasquale, pur senza smettere di camminare lungo la “strada della croce”.
Non fu differente, anche in questo, dai discepoli, che conobbero Gesù di Nazaret!
Proprio in quei giorni frate Leone stava attraversando una delle sue crisi angosciose. Ancora una volta fu Francesco ad alleviargliela. Infatti, ancora inebriato della sua unione mistica a Cristo crocifisso, chiese al suo segretario penna e pergamena; questi di propria mano - tremante per l’ineffabile emozione - scrisse quel documento meraviglioso sulla più alta esperienza umana con la divinità; strofe di fuoco, nella quali esplose il vulcano del cuore cristificato di Francesco: trattasi delle Lodi di Dio altissimo.
Il Santo assisiate compose questo suo originale salmo mistico, poi, con l’inchiostro ancora fresco, in un gesto di eccezionale fiducia, lo regalò a frate Leone, volendo cambiare in serenità e in giubilo l’inquietudine che tormentava l’amato suo compagno.
Fece di più: glielo dedicò, aggiungendo sul rovescio della pergamena, per lui, la benedizione che Mosè ed Aronne, per ordine del Signore, davano ai figli di Israele (cf Benedizione a frate Leone).
Frate “Pecorella”, forte di quella minuscola pergamena, dovette provare un’emozione ineffabile!
Giunse l’ora di scendere da quello che era stato insieme Calvario e Tabor, e fu un’altra intima soddisfazione personale di frate Leone.
Francesco lasciò sulla cima i frati Masseo e Angelo, e scelse frate “Pecorella” come compagno del suo lungo viaggio fino alla Porziuncola.
Prima, però, volle dare l’addio a quell’"Altare Maggiore" della sua vita con un rito originale. Mostrò a frate Leone una grande pietra, parlò con essa esultando intimamente, secondo il suo stile poetico, rivolgendole alte e fervide lodi, e poi disse al suo segretario: «Frate Pecorella, lava questa pietra con acqua». E frate Leone la lavò con acqua. E Francesco gli disse: «Frate Pecorella, lavala con vino». E frate Leone la lavò con vino. E Francesco tornò a dirgli: «Frate Pecorella, adesso lavala con olio». E frate Leone cercò dell’olio e la unse con esso. E Francesco gli ordinò un altro lavaggio: «Frate Pecorella, lavala per ultimo con un unguento profumato». Questa volta frate Leone lo guardò con stupore e gli rispose: «Ma, come trovare qui questo profumo?».
Allora Francesco concluse il rito con spiegando: «Sappiti, frate Pecorella di Dio, che questa è la pietra sulla quale si è seduto il Signore, una volta in cui mi è apparso!».
La pietra si conserva ancor oggi, nella cosiddetta “cella del faggio” della Verna.
Francesco e Leone, scesi dalla sacra montagna, presero la strada per Assisi.
Per i due viandanti furono giornate ineffabili, quali non ce ne sono state per altra coppia: Chisciotte precoce e precoce scudiero di un idealismo divino.
Giunsero ad Assisi.
E giunsero anche, a due anni di distanza - durante i quali frate Leone non lasciò mai il Santo -, gli ultimi giorni di Francesco.
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Messaggio  Fabrizio Dom Dic 21, 2008 4:42 pm

Frate Leone 5/5


Frate Leone non voleva separarsi dal suo fianco. Nel suo santo affetto gli venne anche una voglia capricciosa. Egli, che «non poteva vivere senza di lui», avrebbe dato la vita pur di avere in eredità la tonaca del suo padre e maestro. Quel desiderio si leggeva negli occhi, e ancora una volta, l’intuitivo e amorevole Francesco lo indovinò. Lo chiamò e gli disse: «Questa tonaca è tua. Ti prego solo di lasciarmela finché vivo». Frate Leone gliela lasciò di tutto cuore, con la gioia incontenibile di chi sapeva che era ormai sua, che aveva già assicurata l’eredità più ricca!
Come descrivere la separazione mortale di quelle due vite, trascorse tante volte insieme? Dolore inconsolabile, gioia indicibile, santo orgoglio che Francesco fosse stato per lui quello che era stato.
Più e meglio di quella povera tonaca testamentaria, frate Leone ereditò la vita intera di Francesco d’Assisi, divenuta memoria ed emozione, immagini palpitanti che non sarebbero appassite mai.
Per fortuna, grazie a lui e a Salimbene, ci resta anche questa fotografia del suo cadavere: «Secondo quanto mi ha detto frate Leone, suo compagno, che era presente quando lo lavavano per la sepoltura, sembrava realmente, già morto, un crocifisso che avessero deposto dalla croce».
E la Vita ci assicura che lo stesso frate Leone lo vide, «esultante e splendente, con certe ali dal piumaggio brillantissimo, e con artigli come d’aquila, ma luccicanti come l’oro brunito». Divenuto un altro serafino alato, riflesso di quel Serafino di fuoco che sulla Verna, stando là con lui, lo aveva trasfigurato in un altro Cristo, con le sue gloriose trafitture.
Dopo la morte di Francesco, frate Leone, contrapponendosi a frate Elia, da “Pecorella del Signore” si trasformò in un autentico “Leone”.
L’"Ordine", dopo la morte del suo fondatore, si divise in due correnti: quella degli "Zelanti", più tardi detti "Spirituali", che accettavano alla lettera la "Regola" e il "Testamento" del Santo, non ammettendo modificazioni, né concessioni pontificie, e quella di coloro, più tardi detti "Conventuali", che ritenevano incompatibile l’osservanza “stretta” della povertà con l’evoluzione storica dell’"Ordine".
Portabandiera della prima corrente fu frate Leone; capo della seconda fu, indiscutibilmente, frate Elia.
Impossibile, oggi, fornire giudizi imparziali sull’uno o sull’altro; senza dubbio alcuno, Elia e Leone risultarono, al tempo stesso, attori e vittime di quella confusione prodotta dal vortice delle passioni.
Intanto, nel 1246, frate Leone, in compagnia di Angelo Tancredi e Rufino, si “rifugiò” nel “poverissimo” romitaggio di Greccio, intento a raccogliere, su ordine dell’allora Ministro generale Crescenzio da Jesi, le proprie memorie sui «segni e prodigi del beatissimo Padre Francesco» (famosissima la cosiddetta “Lettera di Greccio”, che accompagna dette memorie, note come i “Rotuli di frate Leone”).
Immaginabile l’emozione avuta dai tre “fedelissimi” compagni del Santo nel ricordare e scrivere le meravigliose vicende, che caratterizzarono la vita del loro maestro Francesco .
Il discepolo sopravvisse al Poverello serafico per quarantacinque anni, gli stessi che aveva Francesco alla sua morte. Davvero una lunga attesa per chi non poteva «vivere senza di lui»!
«Colmo di giorni, tutti utilissimamente spesi in ogni forma di santità, s’addormentò nel Signore».
Frate Leone morì il 15 novembre del 1271 ad Assisi, presso la Porziuncola, là dove aveva avuto inizio la sua vita evangelica, a cinquantanove anni da quell’indimenticabile “prima volta”.
E fu sepolto dove meno l’avrebbe pensato e voluto: nella grande basilica di cui aveva tenacemente avversato la costruzione. Ma era quello il posto d’onore a questo cavaliere della “Tavola Rotonda”, schietto, leale e lottatore. Con pieno merito, uno dei quattro che fanno la guardia d’amore ai resti immortali del Poverello.
Liberamente tratto da D. Elcid Celigueta, I primi compagni di San Francesco, E.M.P. 1995, pp. 131-155.
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