Parrocchia San Francesco d'Assisi
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Marco 9-38,41: che cosa ci vuole dire Gesù?

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Marco 9-38,41: che cosa ci vuole dire Gesù? Empty Marco 9-38,41: che cosa ci vuole dire Gesù?

Messaggio  Fabio Mar Ott 21, 2008 9:07 am

Ieri ho letto questo passo del Vangelo ma non sono riuscito a capire il messaggio che ci dà Gesù. Padre Saverio mi puoi aiutare a comprenderlo?

"38Giovanni gli disse: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri". 39Ma Gesù disse: "Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. 40Chi non è contro di noi è per noi.
41Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa."
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Marco 9-38,41: che cosa ci vuole dire Gesù? Empty Libertà di Dio e discernimento cristiano

Messaggio  fra_saverio Mar Ott 21, 2008 10:52 am

Per capire il brano di Marco ci potrà aiutare un episodio accaduto molto tempo prima ai tempi dell'Esodo, ricordatoci in Numeri 11,24-29:

Mosè dunque uscì e riferì al popolo le parole del Signore; radunò settanta uomini tra gli anziani del popolo e li pose intorno alla tenda del convegno.
Allora il Signore scese nella nube e gli parlò: prese lo spirito che era su di lui e lo infuse sui settanta anziani: quando lo spirito si fu posato su di essi, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito.
Intanto, due uomini, uno chiamato Eldad e l'altro Medad, erano rimasti nell'accampamento e lo spirito si posò su di essi; erano fra gli iscritti ma non erano usciti per andare alla tenda; si misero a profetizzare nell'accampamento.
Un giovane corse a riferire la cosa a Mosè e disse: "Eldad e Medad profetizzano nell'accampamento".
Allora Giosuè, figlio di Nun, che dalla sua giovinezza era al servizio di Mosè, disse: "Mosè, signor mio, impediscili!".
Ma Mosè gli rispose: "Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!".


Entrambi gli episodi ci ricordano una cosa fondamentale che abbiamo ripetuto tantissime volte nei nostri incontri regionali, soprattutto nell'abito della formazione all'evangelizzazione: le vie di Dio per portare alla fede e alla salvezza i suoi figli sono infinite e, per noi, sconosciute.

È Dio che ha fatto il cuore degli uomini, soltanto Lui conosce le strade misteriose attraverso le quali convertirli e salvarli. Esige la collaborazione missionaria di coloro che già possiedono la fede ma la capacità di arrivare al cuore delle persone è soltanto Sua.
Nel cristiano che professa la sua fede non ci deve essere posto per gelosia ed invidia verso chi non appartiene alla sua chiesa eppure agisce rettamente, fa del bene e si guadagna stima ed onore. Dio attira tutti a sé nei modi più impensati e rimprovera chi pretende privilegi per sé e coltiva implicite e inconfessabili esclusioni nei riguardi di coloro che non sono dei nostri. «Sei forse invidioso perché io sono buono? Non posso fare del mio quello che voglio?», ripeterebbe a questo punto Gesù, il padrone della vigna, all’operaio che si lamenta perché tratta l’ultimo collega arruolato al lavoro come lui che ha sopportato la fatica e il caldo della giornata.

Ma pensiamo a quanto dice Gesù a Pilato che gli ricorda che ha su di Lui potere di vita o di morte: "Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto” (Gv 19,11). Pilato è uno strumento nelle mani di Dio perché si compia il suo disegno di salvezza. E Pilato (non Pietro, Paolo, Giovanni…) sarà l’unico uomo di cui ricordiamo il nome, ogni domenica, nella professione di fede!

Già i Padri della Chiesa (in particolare San Giustino) rilevavano che i semi della verità sono stati sparsi da Dio nel cuore di tutti gli uomini, ed essa è presente, sia pure in una forma incompleta, anche nel pensiero filosofico cosiddetto "pagano". Dio, pertanto, si serve anche di quelli che "non sono dei nostri" per agire in favore degli uomini e per condurli ad una sempre maggiore conoscenza di se e alla salvezza.

Diverso è, invece, il caso che troviamo in At 13,6-11:
Attraversata tutta l'isola fino a Pafo, vi trovarono un tale, mago e falso profeta giudeo, di nome Bar-Iesus, al seguito del proconsole Sergio Paolo, persona di senno, che aveva fatto chiamare a sé Barnaba e Saulo e desiderava ascoltare la parola di Dio.
Ma Elimas, il mago, - ciò infatti significa il suo nome - faceva loro opposizione cercando di distogliere il proconsole dalla fede.
Allora Saulo, detto anche Paolo, pieno di Spirito Santo, fissò gli occhi su di lui e disse: "O uomo pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore? Ecco la mano del Signore è sopra di te: sarai cieco e per un certo tempo non vedrai il sole". Di colpo piombò su di lui oscurità e tenebra, e brancolando cercava chi lo guidasse per mano.


Questo caso, come dicevamo, è diverso perché il falso mago e profeta si fa chiamare perfino “Bar-Iesus”, cioè “figlio di Gesù”, accampa cioè una parentela con Gesù!
Di seguito troviamo che cerca di fare opposizione al desiderio del proconsole di ascoltare la Parola e così venire alla fede. Ecco perché Paolo lo definisce “figlio del demonio” e lo condanna irrimediabilmente.

La verità storica è che la Palestina del tempo pullulava di profeti, guaritori, santoni e maghi (termine con cui si indicavano saggi, scienziati). Data la grande risonanza dei prodigi di Gesù, molti si diedero probabilmente ad usare il suo nome, ma alcuni per il bene delle persone (sarebbe il caso citato dal vangelo di Marco), altri per un proprio tornaconto, per crearsi una cerchia di adepti settari (sarebbe il caso narrato dagli Atti).
Il caso degli Atti, pertanto, non è diverso da quei tanti santoni e “profeti” di oggi che approfittano del bisogno e delle sofferenze della gente per accampare poteri miracolistici e di guarigione.

Occorre da parte del cristiano e della Chiesa, sempre, fare attenzione e discernere ciò che è da Dio da ciò che è dagli uomini. Ecumenismo, dialogo interreligioso e culturale, collaborazione con le istituzioni laiche, ecc. sono benedette da Dio nella misura in cui tutto questo ci conduce ad operare per il bene vero degli uomini e per costruire un mondo migliore secondo il disegno di Dio. Ma se, invece, dialogo, collaborazione, ecc. è soltanto un “giocare al ribasso”; se, in nome di Dio, facciamo ciò che non gli è gradito, allora, già il buon senso ci indica che non stiamo percorrendo la strada giusta.
Quanta gente semplice, nel momento del bisogno o della sofferenza, non trovando magari la vicinanza e il giusto conforto delle comunità ecclesiali, finisce nelle mani di guaritori e maghi che sostengono di operare in nome di Dio, che utilizzano fiaschette di acqua benedetta, che hanno i loro “studi” tappezzati di immagini di santi…
Quanti errori (senza però tralasciare il anche il bene o almeno le buone intenzioni) commessi sotto le bandiere politiche segnate con la croce, come quando, nei secoli passati, si commisero delitti al grido di “Dio lo vuole!”. Francesco d’Assisi, allora, si recherà anche lui nei campi di battaglia, per urlare il suo “Dio lo vuole!”, ma la pace, la fraternità, la comprensione, il dialogo… senza venire meno alla consapevolezza della Verità che solo Gesù salva, alla propria identità di cristiano.
Ecco perché i sommi pontefici, anche l’attuale, ci ripetono che il vero ecumenismo, il vero dialogo, la vera collaborazione, sono possibili da parte di chi ha una chiara consapevolezza della propria identità e solo quando queste forme di incontro con il “diverso” non portino alla rinuncia o a sminuire la propria identità e peculiarità, la propria fede.

Discernimento è sempre la parola d’ordine del cristiano.
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Marco 9-38,41: che cosa ci vuole dire Gesù? Empty Re: Marco 9-38,41: che cosa ci vuole dire Gesù?

Messaggio  Fabio Mar Ott 21, 2008 11:09 am

Ecco perché i sommi pontefici, anche l’attuale, ci ripetono che il vero ecumenismo, il vero dialogo, la vera collaborazione, sono possibili da parte di chi ha una chiara consapevolezza della propria identità e solo quando queste forme di incontro con il “diverso” non portino alla rinuncia o a sminuire la propria identità e peculiarità, la propria fede.

Conosci che sei veramente. Confrontati con gli altri e comprendi le differenze ed apprezzale, ma sii sempre te stesso.
Lo insegna anche San Francesco quando va in terrasanta.
Se gli uomini già capissero questo non ci sarebbero la maggior parte delle guerre! No

Grazie Fra Saverio della risposta, adesso ho capito qual è il messaggio che ci dà Gesù con queste parole. Very Happy
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Marco 9-38,41: che cosa ci vuole dire Gesù? Empty Re: Marco 9-38,41: che cosa ci vuole dire Gesù?

Messaggio  sarah Mar Ott 21, 2008 12:41 pm

Grazie Fabio per avermi dato la possibilità di riflettere intensamente su questo brano e grazie di vero cuore per le parole esaustivissime di fra Saverio che ho letto con molta cura e che mi prometto di rileggere .
le parole che mi hanno colpito di più di questo brano sono state queste: " Non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me." sono parole che mi hanno fatto riflettere molto su quanto siamo fortunati noi credenti ad aver ricevuto il dono della fede ma nello stesso tempo ciò mi ha fatto capire anche quanto impegno richieda da noi cristiani praticanti Gesù. questo brano mi ha fatto riflettere molto anche sull'importanza del servizio verso il prossimo che il cristiano è chiamato a compiere . Madre Teresa diceva " io sono una matita missionaria nelle mani di Dio" ed è proprio questo che tutti noi siamo, tante piccole matite colorate di cui Gesù si serve per poter creare sempre qualche cosa di straordinario in tutti i campi in cui operiamo sia all'interno delle nostre comunità che fuori. xkè ognuno di noi è una ricchezza agli occhi di Dio e per il prossimo.
inoltre riguardo al confronto con chi è diverso da noi a cui accennava Fabio, credo sia quasi fondamentale per ciascuno di noi perchè è confrontandoci con gli altri che si può crescere, avere più consapevolezza di sè e fare proprie esperienze di vita che sentendole dire dagli altri possiamo fare nostre e che ci possono aiutare a non commettere degli sbagli in alcuni casi .
caro Fabio voglio concludere suggerendoti un modo utile per riflettere su quei Brani più difficili da capire Very Happy che mi è stato consigliato frequentando la mia comunità:
invoca lo spirito Santo con una preghiera o anche a parole tue . rileggi più volte il brano e con una penna sottolinea la parola o quelle frasi che ti colpiscono di più dal profondo del cuore. meditale e falle tue confrontando anche il passo con altri brani paralleli Very Happy
vedrai che ti aiuterà tanto a interiorizzare e a fare tua la parola di Dio.
un abbraccio di vero cuore
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Marco 9-38,41: che cosa ci vuole dire Gesù? Empty Re: Marco 9-38,41: che cosa ci vuole dire Gesù?

Messaggio  Fabio Mer Ott 22, 2008 11:02 am

C'è un passo delle Fonti Francescane che si può accostare a questo passo del Vangelo?
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Messaggio  fra_saverio Mer Ott 22, 2008 12:19 pm

Fabio ha scritto:C'è un passo delle Fonti Francescane che si può accostare a questo passo del Vangelo?

Non sempre si può trovare un preciso riferimento nelle Fonti di quanto detto e proposto nei Vangeli.
D'altronde, anche se in noi francescani è profondo il desiderio di vedere in Francesco, nelle sue parole come nei suoi gesti, una precisa attualizzazione dei Vangeli, non è corretto operare sempre questi parallellismi.
Francesco stesso ci richiama a fare riferimento ai Vangeli, piuttosto che a lui: Io ho fatto la mia parte, la vostra Cristo ve la insegni.
L'operazione corretta del francescano non dovrebbe essere quella di andare a vedere come ha vissuto o attualizzato Francesco questa o quella pagina dei vangeli, bensì al contrario: farsi stimolare da Francesco ad andare ai Vangeli, cioè alla sorgente della vita cristiana e francescana.

Comunque, se proprio si vuol trovare una relazione "francescana " al brano in oggetto, penso che si possa trovare, in forma molto larga, nel capitolo II della Regola Bollata (e quindi in tutte le sue varie attualizzazioni nella vita di Francesco), laddove si danno le indicazioni per il vestiario dei frati. Si tratta di un abbigliamento povero, ma attento ai bisogni del singolo. Al termine di dette indicazioni, Francesco ammonisce i frati di non giudicare/disprezzare coloro che invece vestono sontuosamente o, comunque, con un abbigliamento che indica la loro non-scelta della povertà. Il brano è il seguente (FF 81):
E coloro che hanno già promesso obbedienza, abbiano una tonaca con il cappuccio e un'altra senza, coloro che la vorranno avere. E coloro che sono costretti da necessità possano portare calzature. E tutti i frati si vestano di abiti vili e possano rattopparli con sacco e altre pezze con la benedizione di Dio. Li ammonisco, però, e li esorto a non disprezzare e a non giudicare gli uomini che vedono vestiti di abiti molli e colorati ed usare cibi e bevande delicate, ma piuttosto ciascuno giudichi e disprezzi se stesso.

Cosa c'è dietro questo brano? Una preoccupazione che, purtroppo, non essendo stata attenzionata nei secoli passati, ha portato a tutta una serie di divisioni storiche nella Famiglia Francescana, e non solo.
Per Francesco la povertà è una vocazione che si esprime anche nell'abbigliamento. La povertà non è un valore in sè, ma funzionale al tipo di vita evangelica a cui si è stati chiamati. La povertà viene "abbracciata" dal chiamato alla vita francescana perché così il Signore ha progettato per lui. Ecco perché non è mai corretto definirla con il suo semplice nome "povertà", bensì "povertà evangelica" o "povertà per il regno dei cieli" (Francesco nella Regola scrive "senza nulla di proprio", che significa che si possono avere le cose, usarle, ma senza considerarle cose proprie, appropropriarsene; d'altronde, sempre nella regola, viene chiesto ai ministri che ai frati siano dati gli strumenti per svolgere il mestiere che facevano prima di diventare tali).
Questo significa che non tutti sono chiamati ad abbracciare la povertà evangelica: essa è una vocazione e una libera risposta a questa vocazione.
Ecco perché Francesco non ha mai giudicato i ricchi, non li ha mai condannati, non li ha mai considerati "diversi" o "da escludere". D'altronde disprezzare la ricchezza (tranne che non provenga dall'ingiustizia), sarebbe disprezzare Dio che è "provvidenza" e dispensatore di ogni bene. Il ricco, pertanto, che non è attaccato alle sue ricchezze e che ne usa come un "amministratore saggio" nella giustizia, nella solidarietà e nella carità, è parimenti "uno dei nostri". E Francesco non disdegnerà di collaborare con coloro che vivevano nella ricchezza (a partire dagli ecclesiastici dell'epoca) o di farsi collaborare da essi (Donna Jacopa, il nobile Giovanni di Greccio, ecc.).

Quando si perde di vista questa concezione della povertà evangelica e la si assurge a "valore" in sè stessa, essa non è più povertà, ma ricchezza. Quando si cominciano a fare i paragoni ("io sono povero e tu no, quindi io sono buono e tu no...") non è più povertà, ma orgoglio e l'orgoglio crea divisione, la non-fraternità.
Purtroppo, storicamente, fin dopo la morte di Francesco, sono nati (e fino ai giorni nostri, sig!) dei movimenti pauperistici che hanno assunto la povertà a "valore" assoluto e per questo si sono divisi da quei fratelli che non vivevano, a loro parere, la povertà.
Oppure, talvolta, anche in seno al laicato francescano, forse presi da troppo entusiasmo, si esprimono giudizi di condanna, oppure si punta il dito contro questa o quell'altra istituzione che non si spoglia delle proprie ricchezze. Per fare un esempio: non si può pretendere che certe istituzioni, anche laiche, si spoglino dei propri beni, come se fossero una fraternità francescana, ma si può chiedere loro di usarne per alleviare o sradicare la povertà alle sue radici (= non darmi un pesce, ma insegnami a pescare!).
La povertà, in sè stessa, è causata dal peccato ed è un crimine contro Dio e l'umanità.
La povertà evangelica è una vocazione e una scelta per vivere la fraternità con coloro che subiscono la povertà. Francesco si è fatto povero tra i poveri, per vivere accanto a loro da fratello, alla pari. Francesco sa bene che la povertà è un male causato anche dai "ricchi epuloni", ma si fa povero per vivere accanto a loro da fratello, per condividere la loro sofferenza e umiliazione.
Ma mai ha preteso che gli altri facessero una simile scelta, ha chiesto invece ai ricchi e ai potenti di questo mondo di utilizzare la loro ricchezza e potere per sollevare la sorte dei miseri. Non li ha disprezzati né tenuti alla larga né ha invocato fulmini dal cielo... ma li ha considerati, al pari suo, strumenti del Signore per la ricostruzione di un mondo e di una Chiesa che viva veramente la fraternità in vista della fraternità-comunione eterna in Dio.
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